Dard. Robert Sarah
231. Il silenzio sacro è quindi la sola reazione veramente umana e cristiana di fronte all’irruzione di Dio nelle nostre vite. Sembra che Dio Stesso ci insegni che Si aspetta da noi questo culto di adorazione silenziosa e sacra. «Nel glorificare il Signore, esaltateLo quanto più potete, perché non sarà mai abbastanza. Nell’esaltarLo moltiplicate la vostra forza, non stancatevi, perché non finirete mai. Chi Lo ha contemplato e Lo descriverà? Chi può magnificarLo come Egli è?» chiede Ben Sirac il saggio (Sir 43,30-31).
Quando Dio Si mostra, solo la lode deve sgorgare dal nostro cuore. All’opposto, ogni forma di esibizione, ogni impressione di spettacolo deve sparire. Perché manifestare la vanità di un’azione profana e di una parola mondana di fronte alla Sua infinita grandezza? «Il Signore sta nel Suo tempio santo. Taccia, davanti a Lui, tutta la terra!» (Ab 2,20). Solo in quel momento può prendere l’iniziativa di raggiungerci. Perché Dio ama sempre per primo. Il nostro silenzio sacro diventa silenzio di gioia, d’intimità e di comunione: «La saggezza non si lascia toccare che nel silenzio» (Qo 9,17).
232. Il silenzio ci insegna una grande regola della vita spirituale: la familiarità non favorisce l’intimità, al contrario, la giusta distanza è una condizione della comunione. È mediante l’adorazione che l’umanità cammina verso l’amore. Il sacro silenzio, carico di presenza adorata, apre al silenzio mistico, pieno d’intimità amorosa. Sotto il giogo colpevolizzante della ragione mondana, abbiamo dimenticato che il sacro e il culto sono le sole porte d’ingresso della vita spirituale.
233. Il silenzio sacro è il cardine di tutte le celebrazioni liturgiche. Nel 1978, in un articolo della rivista Communio, il teologo Hans Urs von Balthasar scrive: «La liturgia creata umanamente non può essere degna dell’oggetto del suo omaggio, di Dio, davanti al trono a cui si prostrano, con la faccia velata, i cori celesti dopo aver deposto corone e paramenti per offrire la loro adorazione. Voler offrire a Colui Che ha creato ogni cosa secondo la propria volontà l’onore accordato a ogni creatura, deve a priori far piegare le ginocchia a una comunità di peccatori. Domine non sum dignus! Se questa comunità, riunita per la lode e il culto, avesse ingenuamente a cuore altro che l’adorazione e il dono di sé – come ad esempio lo sviluppo personale o qualche progetto che mettesse l’individuo sullo stesso piano del Signore Che ha il dovere di adorare – si sbaglierebbe. Ci si può avvicinare solo con timore e tremore».
234. Come non citare la liturgia del Venerdì Santo, quando il celebrante entra nel presbiterio? Si prostra stendendosi al suolo, davanti all’altare, e rimane in quella posizione un lungo istante in grande silenzio. Questo gesto silenzioso è eloquente. L’uomo riconosce il proprio niente e non ha letteralmente niente da dire di fronte al mistero sacro della Croce. Umilmente, non può che prostrarsi e adorare. Ma questa adorazione non è travolgente, al contrario, ci apre a un atteggiamento di abbandono e fiducia. (pagg. 144-145)