Dard. Robert Sarah
266. Abbiamo perduto il senso profondo dell’Offertorio. È, però, il momento in cui, co-me indica il suo nome, tutto il popolo cristiano si offre, non solo insieme a Cristo, ma in Lui, mediante il Suo Sacrificio che sarà realizzato nella Consacrazione. Il Concilio Vaticano II ha mirabilmente sottolineato questo aspetto, insistendo sul sacerdozio battesimale dei laici che consiste essenzialmente nell’offrirci con Cristo in sacrificio al Padre.
Questo insegnamento del Concilio era magnificamente espresso dalle antiche preghiere dell’Offertorio. Ho già detto che sarebbe opportuno riuscire ad usarle di nuovo per entrare silenziosamente nell’offerta di Cristo. Già nel VII secolo, lo pseudo-Germano riferisce che la processione delle offerte si apriva con questa monizione: «Che tutti osservino un silenzio spirituale vigilando alle porte della loro anima. Che tracciando il segno della Croce sul loro volto, si guardino dal tumulto delle parole e dei vizi. […] Che custodiscano le loro labbra da ogni parola volgare affinché i loro cuori siano rivolti unicamente a Cristo». Se l’Offertorio è visto solo come la preparazione dei doni, come un gesto pratico e prosaico, allora sarà grande la tentazione di aggiungere e d’inventare dei riti per occupare ciò che è percepito come un vuoto. Ho già avuto modo di deplorare, in alcuni paesi dell’Africa, le processioni offertoriali lunghe e rumorose, abbinate a danze interminabili. I fedeli portano ogni sorta di prodotti e di oggetti che non hanno niente a che vedere con il Sacrificio eucaristico. Queste processioni danno l’impressione di esi-bizioni folkloristiche, che snaturano il Sacrificio cruento di Cristo sulla Croce e ci allon-tanano dal Mistero eucaristico, che deve, invece, essere celebrato nella sobrietà e nel raccoglimento, perché anche noi siamo immersi nella Sua morte e nella Sua offerta al Padre. I vescovi del mio continente dovrebbero adottare delle misure tese ad evitare che la Messa diventi un’autocelebrazione culturale. La morte di Dio per amore nostro è al di là di ogni cultura e sommerge ogni cultura. Così, conviene insistere sul silenzio dei laici durante la Preghiera eucaristica, come precisa mons. Guido Marini: «Quel silenzio non significa inoperosità o mancanza di partecipazione. Quel silenzio tende a far sì che tutti entrino […] nell’atto di amore con il quale Gesù Si offre al Padre sulla croce per la salvezza del mondo. Quel silenzio, davvero sacro, è lo spazio liturgico nel quale dire sì, con tutta la forza del nostro essere, all’agire di Cristo, così che diventi anche il nostro agire nella quotidianità della vita». Secondo il cardinale Ratzinger, da parte loro, le «preghiere silenziose del sacerdote lo preparano proprio a penetrare personalmente nel suo compito e a donarsi al Signore nella totalità del suo proprio “io”». Per tutti, «il silenzio che segue la ricezione dell’Eucaristia è […] il momento privilegiato del dialogo interiore con il Signore Che viene a donarSi a noi, momento di comunione intima con Lui, che ci fa entrare in quella reciprocità di amore senza la quale la ricezione esteriore del Sacramento non sarebbe che un gesto puramente rituale e quindi sterile». Dopo che i fedeli hanno finito di comunicarsi al Corpo di Cristo, il coro deve smettere di cantare per lsciare a ciascuno il tempo di un colloquio intimo con il Signore Che è appena entrato nel tempio del nostro corpo. Che meraviglia accogliere nel profondo del nostro cuore il Signore dell’universo: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perchè santo è il tempio di Dio, che siete voi» (1Cor 3,16-17). In effetti, Dio Si attende davvero dagli uomini la santità della vita, la virtù del silenzio, dell’umiltà e della semplicità. (pagg. 164-166)