Dard. Robert Sarah
269. Il silenzio interiore, da parte sua, può essere costituito dall’assenza di ricordi, di progetti, di parole interiori, di cura… Più importante ancora, grazie ad un atto di vo-lontà, può essere il risultato dell’assenza di affetti disordinati o di desideri eccessivi. I Padri della Chiesa accordano un posto eminente al silenzio nella vita ascetica. Penso a Sant’Ambrogio, a Sant’Agostino, a San Gregorio magno, per non parlare di quanto si dice nella Regola di San Benedetto di Norcia sulla «taciturnità» o delle sue parole sul silenzio della notte in cui si fa discepolo di Cassiano. A partire da questi maestri, tutti i fondatori di ordini religiosi medievali, seguiti dai mistici della Riforma Cattolica, hanno insistito sull’importanza del silenzio, al di là della sua dimensione ascetica e mistica.
270. Nel Vangelo è detto che il Salvatore Stesso pregava in silenzio, specialmente la notte, quando Si ritirava in luoghi desertici. Il silenzio è tipico della meditazione della parola di Dio; e lo ritroviamo in particolare nell’atteggiamento di Maria davanti al mi-stero del suo Figlio. La persona più silenziosa del vangelo è San Giuseppe, di cui il Nuovo Testamento non riporta alcuna parola. San Basilio considera il silenzio non solo come una necessità dell’ascesi della vita monastica, ma anche come una condizione per incontrare Dio. Il silenzio precede e prepara quel momento privilegiato in cui abbiamo accesso a Dio, che, allora, può parlarci faccia a faccia come farebbe un amico.
271. Noi abbiamo accesso alla conoscenza di Dio per mezzo della causalità, dell’analogia, dell’eminenza, ma anche della negazione: una volta affermati gli attributi divini, che sono conosciuti attraverso la ragione naturale – è la via catafatica – bisogna negarne il modo di realizzarsi limitato che conosciamo quaggiù – ed è la via apofatica. Il silenzio è iscritto nella via apofatica di accesso a Dio, così cara ai Padri della Chiesa, soprattutto ai Padri greci, che per questo chiamano il silenzio dei ragionamenti di fronte al mistero di Dio. Qui penso a Clemente di Alessandria, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa. Non è, però, meno vero che il silenzio è in primo luogo l’atteggiamento positivo di colui che si prepara all’accoglienza di Dio con l’ascolto. Sì, Dio opera nel silenzio. Da qui l’osservazione così importante di San Giovanni della Croce: «Il Padre non ha detto che un’unica Parola, cioè Suo Figlio, e in un silenzio eterno Egli La dice sempre: anche l’anima deve ascoltarLa in silenzio». Il libro della Sapienza (18,14-15) osserva, a proposito del modo in cui Dio è intervenuto per liberare il popolo eletto dalla sua schiavitù in Egitto, che questa azione indimenticabile ha avuto luogo durante la notte: «Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo rapido corso, la Tua Parola onnipotente dal cielo, dal Tuo trono regale, […] Si lanciò».
Più tardi questo versetto sarà considerato dalla tradizione liturgica cristiana come prefi-gurazione dell’Incarnazione silenziosa del Verbo eterno nella grotta di Betlemme. Quin-di, bisogna fare silenzio: si tratta comunque di un’attività, e non di inattività. Se il nostro «cellulare interiore» dà sempre occupato, perché siamo «in conversazione» con altre creature, come può il Creatore avere accesso a noi, come può «chiamarci»? Dob-biamo purificare la nostra intelligenza dalle sue curiosità e la volontà dai suoi progetti, per apririci totalmente alle grazie di luce e di forza che Dio vuole donarci a profusione: «Padre, […] non sia fatta la Mia, ma la Tua volontà» (Lc 22,42). «L’indifferenza» ignaziana è quindi anch’essa una forma di silenzio. (pagg. 167-169)