Card. Robert Sarah
Nel secondo volume di Teologia nella storia, Henri de Lubac aveva osservato che il dualismo in cui, in un passato recente, ci siamo troppo lasciati coinvolgere, ha avuto come risultato il fatto che gli uomini, prendendoci alla lettera, hanno scartato del tutto il soprannaturale, cioè praticamente tutto ciò che è sacro. Hanno relegato il soprannaturale in qualche lontano recesso dove non poteva che rimanere sterile. Lo hanno esiliato in una regione separata che ci hanno consegnato volentieri, lasciandolo morire a poco a poco sotto la nostra custodia.
Nel frattempo, si erano messi a organizzare il mondo, il mondo per loro veramente reale, l’unico esistente, il mondo delle cose e degli uomini, il mondo della natura e degli affari, il mondo della cultura e il mondo della città. Lo esploravano, lo costruivano, al di fuori di ogni influenza cristiana, con uno spirito del tutto profano. Per un tragico malinteso, ci siamo più o meno prestati a questo gioco.
C’era come una cospirazione inconsapevole tra il movimento che portava al laicismo e una certa teologia, e mentre il soprannaturale si trovava esiliato e proscritto, capitava che tra di noi si credesse che il soprannaturale fosse al riparo dagli attacchi della natura, nel dominio in cui era giusto regnasse. Alla radice di questo atteggiamento c’è una teologia di ispirazione protestante che mira a opporre la «fede» alla religiosità.
L’atteggiamento sacro, il timore religioso sarebbero elementi profani e pagani dai quali la fede cristiana dovrebbe essere purificata. Si vorrebbe fare del cristianesimo un contratto tutto interiore con Dio, senza una concreta trasposizione nel vissuto. Il cristianesimo diventa così una gnosi. Questo movimento ha come conseguenza l’abbandono di tutte le realtà umane a sé stesse, alla loro parte profana e chiusa a Dio. Tale gnosi si trasforma in «pelagianesimo» e in ateismo pratico.
L’uomo ferito in conseguenza al peccato originale si rivela spesso egocentrico, individualista ed egoista. Ispirato da Cristo, si mette a servizio del prossimo. Senza Cristo, conosce solo il proprio interesse. Madre Teresa diceva che senza la presenza intensa e ardente di Dio nel nostro cuore, senza una vita di profonda e intensa intimità con Gesù, siamo troppo poveri per occuparci dei poveri. È la presenza in noi di Gesù a spingerci verso i poveri. Senza di Lui non possiamo fare nulla. Raramente siamo in grado di donarci agli altri. I cristiani non sono chiamati solo a impegnarsi nelle missioni umanitarie. La carità va ben oltre. L’attività delle organizzazioni non governative umanitarie, che ho potuto osservare in Africa e in altri contesti, è spesso utile. Essa, però, tende sempre a trasformarsi in un commercio in cui rapaci interessi si mischiano alla generosità.
La vera carità è gratuita. Non si aspetta niente in cambio. La vera gratuità viene da Colui Che ha donato la Sua vita gratuitamente per noi. La carità è una partecipazione all’amore stesso del Cuore di Gesù per gli uomini. Senza Cristo la carità è una pagliacciata. Quando le suore di Madre Teresa si stabiliscono in un paese non chiedono nulla. Non desiderano altro che servire le più terribili bidonville, umilmente con il sorriso, dopo aver contemplato a lungo il Signore. Vogliono solo che tutti i giorni un sacerdote vada da loro a celebrare la Messa.