Card. Robert Sarah
Parlando di crisi del Credo si tratta anzitutto di una crisi della teologia fondamentale, di una crisi dei fondamenti della fede. Essa si manifesta principalmente nell’ecclesiologia o teologia della Chiesa. Devo constatare altresì una crisi del ruolo della teologia nella vita della Chiesa. Tra gli specialisti della sacra dottrina si assiste a una rivendicazione di autonomia rispetto al Magistero, rivendicazione che li fa propendere verso dottrine eterodosse presentate come verità assolute. I teologi perdono di vista la loro autentica missione, che non consiste nella creazione ma nell’interpretazione del dato rivelato, nel suo approfondimento, e non in uno sfoggio della propria bravura.
I teologi non devono pensare da puri intellettuali il cui orizzonte sia costituito esclusivamente dal mondo delle università e delle riviste scientifiche. La teologia è un servizio ecclesiale. Un sacerdote teologo è anzitutto un pastore. Non bisogna dimenticare che le definizioni dogmatiche sono un servizio reso ai piccoli della Chiesa, e non l’esercizio di un potere.
Nell’esprimere la fede attraverso le parole, il Magistero permette a tutti di partecipare della luce che Cristo ci ha donato. L’esercizio della teologia parte dal catechismo e dalla predicazione. Consiste nello scrutare i misteri della fede per esprimerli in termini umani, così da trasmetterli al maggior numero di persone. Resto talvolta meravigliato dalla profondità della teologia che alcuni fedeli sviluppano intuitivamente a partire dalle verità del catechismo.
La Chiesa si preoccupa semplicemente che, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, sia ricevuta la luce di Cristo di cui essa è Sacramento. Questa preoccupazione la porta a rivolgere su un mistero, in un preciso momento della storia, la propria contemplazione, perché non si perverta il rapporto dei propri figli con il Dio vivo. Le formule che ne derivano, che sono il frutto di un lungo studio, innescano a loro volta una nuova riflessione. Oltre a essere dei punti di arrivo sono anche, e soprattutto, dei punti di partenza. Se un linguaggio diventa obsoleto nulla vieta che lo si rinnovi, nella fedeltà al senso che esso racchiude. Sì, è necessario impegnarsi per esprimere meglio ciò che è già stato detto, per formularlo in un modo sempre più preciso, senza rotture con la tradizione. Dobbiamo rimanere saldi, risoluti nel conservare la tradizione, la dottrina e i dogmi della Chiesa. Senza polemiche, impazienza, o chiasso.
Il lavoro di decostruzione da parte di certa teologia che ha smarrito lo spirito ecclesiale prima o poi si ripercuote inevitabilmente sull’insegnamento della catechesi. Il catechismo perde di conseguenza la certezza e l’armonia che dovrebbe invece caratterizzarlo. Un primo grave errore è stato quello di impugnare il catechismo dichiarandolo superato. Oggi, esso viene troppo spesso presentato come un elenco di ipotesi esegetiche, prive di connessioni logiche e cronologiche, In questo modo non guadagna certo chiarezza nei confronti dei bambini. Noi abbiamo il compito di insegnare la fede e non le teorie all’ultima moda dell’esegesi storico-critica che presto saranno superate.