Card. Robert Sarah
L‘impegno ecumenico è necessario, ma talvolta è stato praticato con un’ansia eccessiva, e abbiamo dimenticato che la riaffermazione delle formulazioni dogmatiche intoccabili è un servizio reso all’interlocutore. L’indifferentismo relativo alle confessioni cristiane viene a crearsi a causa di una cattiva comprensione della vera natura dell’ecumenismo.
Il desiderio di una relazione più fraterna, meno ostile e meno tesa tra i cristiani, è cosa giusta e lodevole. Ma l’ecumenismo non può ridursi a questo. Il vero ecumenismo risiede nell’abbandonare i nostri peccati e la nostra tiepidezza, nel liberarci insieme della nostra mancanza di fede, nel ritrovare la stessa fede nei misteri cristiani, nei Sacramenti, la stessa dottrina, la stessa Chiesa affidata a Pietro, e non ciò che edifichiamo noi con la nostra genialità.
Il vero ecumenismo consiste nel lasciarsi guidare dalla sola e unica luce dei Vangeli, con le sue esigenze morali. Il vero ecumenismo significa conservare fedelmente la Sua parola e vivere secondo i comandamenti di Dio. Infatti, «chi osserva la Sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in Lui. Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come Lui Si è comportato» (1Gv 5,6).
Senza una ferma riaffermazione dell’insegnamento di Cristo come sempre è stato trasmesso dal Magistero della Chiesa non vi può essere ecumenismo. Mi sorprende l’irenismo che mostriamo di fronte alle confessioni cristiane non cattoliche. Su alcuni temi l’ecumenismo verso i fratelli separati d’Oriente presenta difficoltà a livello teorico, sempre per questioni di natura ecclesiologica, riguardanti in particolare il primato del papa sotto il profilo della comunione. Talvolta, per non contrariare gli ortodossi, viene taciuto il senso autentico del primato di Pietro. Non sono convinto che con questa forma di diplomazia dottrinale si riuscirà a progredire meglio verso l’unità. Non penso che i nostri fratelli separati vogliano questo da noi. Credo, invece, che essi ci sono riconoscenti quando abbracciamo l’intera dottrina cattolica, quando la spieghiamo e la proclamiamo senza falsa prudenza. Mi sembra che i passi in avanti più fecondi siano stati il frutto dell’ecumenismo dei martiri. Quando cattolici e ortodossi si trovavano negli stessi gulag, pregavano insieme, insieme testimoniavano la fede e condividevano talvolta gli stessi Sacramenti.
Al contempo, in certi ambienti cattolici, si osserva un’attrazione verso il modello protestante. La carità deve eliminare le nostre asperità per permettere allo Spirito Santo di lavorare per la nostra conversione. È inutile però negare le profonde differenze che ci separano. La nostra fede nella Presenza reale del Signore nell’Eucaristia, la nostra fedeltà alla Messa come memoriale del Sacrificio della Croce, la nostra fede nella sacra mentalità del sacerdozio esigono da parte nostra una vera coerenza: è impossibile per un protestante comunicarsi durante la Santa Messa. Ciò non avrebbe altro senso se non quello di affermare una certa forma di simpatia. Ma l’Eucaristia non deve essere strumentalizzata per significare buone relazioni umane. È il luogo della comunione con il Dio di verità.