Card. Robert Sarah
Finché non prenderemo coscienza della gravità della nostra decadenza non potremo reagire. La recente scoperta delle ignobili turpitudini di alcuni ecclesiastici riuscirà a svegliarci? Forse era necessaria questa umiliazione, questo schiaffo per permetterci di prendere coscienza del nostro profondo bisogno di riforma, cioè di conversione.
Come si può non reagire davanti a tanto cinismo da parte di uomini consacrati a Dio? Come non ricercare la causa profonda di questi umilianti abusi perpetrati su minori? Si tocca qui la punta più estrema e ripugnante di una vita che è a poco a poco scivolata via per trasformarsi in una vita senza Dio, in una vita caratterizzata dall’ateismo pratico, in una vita che è precipitata dal sacro al profano, fino alla profanazione.
È necessario assumere contromisure – e in questo la Chiesa ce la mette tutta – per proteggere i bambini che sono l’immagine sacra dell’innocenza divina. Eppure, come non accorgersi che nessuna contromisura potrà sostituire un profondo sguardo di fede su tutta la nostra vita? Al di là dei crimini abominevoli contro i bambini, chi denuncerà la pro-fonda crisi che corrode la vita dei sacerdoti? La loro castità subisce un violento attacco. In alcune regioni del mondo i comportamenti contrari al celibato consacrato si moltiplicano.
La cosa peggiore, però, non è tanto il peccato dovuto alla fragilità, che merita sempre misericordia quando ci si pente e ci si confessa. La cosa peggiore è invece che certi ecclesiastici rivendicano tali azioni come normali e buone. Come possono non rendersi conto che così facendo feriscono profondamente la loro consacrazione a Dio? C’è un problema che nessuna riforma strutturale potrà risolvere: l’ignoranza di Dio. La tiepidezza, il rifiuto delle esigenze evangeliche, la perdita del senso del peccato, l’attaccamento al denaro trovano nella perdita del senso di Dio la loro radice comune.
Il degrado della liturgia trasformata in spettacolo, la negligenza nelle celebrazioni e nelle confessioni, la mondanità spirituale ne sono solo i sintomi. Non sono le strutture o le istituzioni a essere in crisi, ma la nostra fede e la nostra fedeltà a Gesù.
I mutamenti che devono essere posti in atto non si limitano alle sole istituzioni o ai costumi, ma riguardano soprattutto le anime, i recessi più profondi degli spiriti e dei cuori, le convinzioni e gli orientamenti delle coscienze. Ciò che deve radicalmente cambiare è il nostro rapporto con Dio.
Certo, è necessario trovare i mezzi concreti per mettere in opera questa conversione radicale. Dove trovare la vera bussola che ci permetta di orientarci? È necessario che i papi scrivano? L’insegnamento della Chiesa non è più come un’àncora alla quale il popolo di Dio voglia aggrapparsi. Si ha l’impressione che le parole scivolino sulle anime senza riuscire a spezzare la corazza dell’abitudine e dell’indifferenza. Più che di parole abbiamo bisogno di fare ancora esperienza di Dio. Questa è forse il cuore di ogni riforma. Benedetto XVI diceva: «Solo se c’è una certa esperienza si può poi anche capire». Dobbiamo, dunque, domandarci: come possiamo fare esperienza di Dio? Dobbiamo ripetere l’esperienza della Chiesa come luogo in cui Dio si dona.