Di Guido Vignelli
DALLA SINODALITÀ OLIGARCHICA A QUELLA DEMOCRATICA.
In apparenza, la rivoluzione sinodale della Chiesa permetterebbe all'episcopato di aumentare la propria indipendenza sia dalla monarchia pontificia che dalla oligarchia delle conferenze episcopali nazionali. In realtà, questo decentramento del governo ecclesiastico avvia un processo che, per propria interna coerenza, non può fermarsi al livello della classe episcopale ma deve proseguire coinvolgendo anche tutti gli altri livelli gerarchici al fine di riformarli in senso periferico e democratico.
Infatti, quello stesso meccanismo che sottrae il vescovo al controllo della curia pontificia, tuttavia lo sottopone al controllo del proprio sinodo diocesano, dapprima diventandone una sorta di massimo esperto nella pastorale, poi riducendosi a mero rappresentante delegato della sovranità popolare dei fedeli riuniti in assemblea sinodale. Inoltre, in nome dell'inclusione ecclesiale, il vescovo dovrà accettare che quest'assemblea comprenda come consulenti e collaboratori non solo dissidenti – come già oggi accade – ma anche scismatici, eretici e perfino atei, perché lo spirito democratico li riconosce come fratelli tutti e quindi impone all'autorità ecclesiastica di porsi in ascolto di tutti, di tener conto della loro opinione e di condividerne le esigenze.
Il moderno progressismo cerca di trasformare la Chiesa in una società democratica, nella quale la sovranità appartiene al popolo e la gerarchia ecclesiastica ne è solo la rappresentante eletta e delegata: una rappresentante temporanea, locale e settoriale. In questo modo la struttura ecclesiale è rovesciata: Chi sta in basso comandi e chi sta in alto obbedisca.
L'attuale progetto di trasformare la Chiesa da società gerarchica a comunità sinodale sembra essere un fattore decisivo per realizzare questa operazione. Ormai, anche autorevoli esponenti della gerarchia sostengono che bisogna destrutturare la Chiesa in modo da ricostruirla sostituendo quella vecchia con una nuova. Questa sinodalità democratizzante realizzerà così una forma di collettivismo ecclesiale, tendenzialmente anarchico, nel quale tutti comandano e nessuno obbedisce, secondo la vecchia illusione della sovranità popolare e dell'educazione democratica dei fedeli impartita dal ridicolo personaggio del vicario sabaudo immaginato da Rousseau.
In questo modo, però, la riforma sinodale giungerà a contrastare non solo il diritto canonico ma anche la tradizionale concezione della società alla quale ho accennato nella iniziale premessa. Ciò significa che questa riforma è in realtà una rivoluzione basata su una ideologia contraria non solo alla divina costituzione della Chiesa ma anche al diritto naturale.