La rivoluzione sinodale

Di Guido Vignelli

UNA CHIESA GLOCAL?

Da almeno trent'anni, il sistema politico-economico occidentale sta diventando dichiaratamente glocal (= globale-locale): al vertice è centripeto, ossia accentratore, come impone il progetto globali sta, ma alla base è centrifugo, ossia frammentatore, come prevede la tendenza localista. Tuttavia, invece di comporsi in una sintesi armonica e ordinata, globalismo e localismo tendono a divergere e a contrastarsi, per cui le caratteristiche dell'uno non equilibrano quelle dell'altro, i loro difetti non si correggono a vicenda ma si rafforzano.

 

Oggi, perfino la sopravvivenza dello Stato è compromessa dalla convergenza di una duplice offensiva: dall'alto quella globali sta, che lo include negli organismi mondialisti, e dal basso quella localista, che lo frammenta nelle sue componenti geografiche, etniche e ideologiche. Anche la riforma ecclesiale oggi progettata sembra orientata in senso glocal. Infatti, essa è guidata dal potere centrale e globale della curia romana, ma prepara una sinodalità locale che, partendo dalle conferenze episcopali, si frammenta e si disperde nelle periferie del mondo.

 

UNA RIVOLUZIONE DAL BASSO ORGANIZZATA DALL'ALTO.

Paradossalmente, il tentativo in corso di decentrare, localizzare e democratizzare la struttura della Chiesa non è favorito tanto dalla periferia, dal basso, ossia dalla base, quanto dall'alto, dal centro, ossia dalla gerarchia ecclesiastica, compreso il papa.

 

Inoltre, questo processo si realizza in un modo che non è democratico né decentrato, bensì oligarchico e accentratore. Infatti, esso viene progettato da esperti, spesso ignoti, che dominano i circoli teologici, e viene alimentato da organizzazioni settarie, propagandato dai mass-media e favorito da poteri culturali, politici ed economici. L'aurea regola della mediazione gerarchica viene sostituita da una demagogica e panteistica identificazione delle parti col tutto e dei capi col popolo (o viceversa).

 

In teoria, un processo per democratizzare la Chiesa prevederebbe il seguente procedimento: sottoporre prima il papa alla curia, poi la curia all'episcopato e infine l'episcopato all'intero popolo di Dio. Invece, oggi questo processo viene favorito dal papa, le cui recenti riforme ridimensionano il potere della Curia romana in favore dell'episcopato e talvolta ridimensionano anche il potere episcopale in favore del popolo di Dio, in particolare della periferie della Chiesa.

 

Nel suo ultimo documento, steso in preparazione della prevista riforma sinodale, papa Francesco ha avviato una rivoluzione strutturale del governo ecclesiastico in senso centrifugo. Tuttavia, egli ha avuto cura di conservare e anzi aumentare il proprio potere centrale, proponendosi come una sorta di dittatore democratico che agisce in diretto rapporto col popolo di Dio, scavalcando le competenze della gerarchia e violando le leggi della Chiesa.

Del resto, pensandoci bene, in una società tuttora monarchica come quella ecclesiale, la sua struttura interna può essere sovvertita in senso centrifugo e democratico solo impegnando la forza centripeta di un'autorità pontificia che agisca contro la gerarchia e perfino contro sé stessa.

 

Com'è noto, i rivoluzionari protestanti (seguendo Lutero), quelli liberali (seguendo Rousseau), quelli comunisti (seguendo Lenin) e quelli sessantottini (seguendo Marcuse) pretendevano di costringere il popolo a diventare libero: di volta in volta, essi volevano liberarlo dalla Tradizione della Chiesa, dalla retta filosofia, dal diritto naturale, dalle istituzioni sociali come la proprietà, la professione, la famiglia, la scuola e lo Stato.

 

Similmente, oggi influenti autorità della Chiesa, favorite da papa Francesco, pretendono di costringere il popolo di Dio a emanciparsi dalla tutela gerarchica e perfino a liberarsi dalla struttura ecclesiastica. Entrambe sono sentite come un giogo che, ben lungi dall'essere soave e leggero, risulta duro e pesante, perché ostacola la spontanea maturazione della coscienza religiosa di un popolo ormai diventato adulto e capace di gestirsi da solo, pretendendo il potere supremo nella Chiesa.

 

Nonostante una certa propaganda, la rivoluzione sinodale non tenta di ripristinare metodi e usanze democratiche presenti nella vita della Chiesa antica, poi ridotte nel cosiddetto medioevo e soppresse dalla Controriforma. Piuttosto, si tenta di adeguare la Chiesa a una post-modernità nella quale ogni senso di bene comune, ordine, autorità e gerarchia scompaia, al fine di sperimentare una nuova spontaneità religiosa che porterà prima al collettivismo e poi all'anarchia.

 

Com'è noto, nel 1789, la classe nobiliare francese rinunciò spontaneamente e allegramente ai propri privilegi per consegnare il potere a quella rivoluzione popolare che, appena tre anni dopo, la ricompensò impoverendola, imprigionandola e decapitandola. Subirà l'attuale gerarchia ecclesiastica un analogo destino? Ovviamente la storia non si ripete, ma anch'essa ha i suoi corsi e ricorsi...