Il digiuno e i suoi quaranta giorni
Come si tagliano i rami e si pota il fusto degli alberi per favorirne la fecondità e lo sviluppo, così il rigoglio dell'anima si procura con la mortificazione e segnatamente col digiuno. È certamente questo l'elemento più importante dell'ascetismo quaresimale, ma non tanto da prevalere sull'ascetismo stesso; anzi, in origine vi era così subordinato, da lasciare che dipendesse unicamente da quello il computo dei quaranta giorni di osservanza. Se avveniva infatti che, in ragione dei giorni festivi, il digiuno fosse sospeso, essendo Festa e digiuno inconciliabili nella mente degli antichi, il computo dei giorni di digiuno non era per niente mutato; né tantomeno si pensava di supplirvi con altrettanti giorni di digiuno che allungassero la sacra Quarantena dell'ascetismo. Questo fenomeno si verificò, almeno in Occidente, più tardi; sicché è facile scoprire nella storia dello sviluppo quaresimale come due Quaresime che vengono progressivamente sovrapporsi l'una sull'altra: la prima, quella dei quaranta giorni di ascetismo; la seconda, quella dei quaranta giorni di digiuno.
Anche la Quaresima ambrosiana porta in sé le alterne vicende di un tale sviluppo. Poiché come sappiamo, a Milano anticamente non si digiunava né al Sabato, né alla Domenica, i suoi giorni di digiuno quaresimale assommavano dunque a trentuno, compresi il Venerdì e il Sabato Santo, che più veramente farebbero una cosa a parte. Poi si aumentarono a quaranta, senza contare il Sabato Santo, anticipando il digiuno al Lunedì della Sessagesima. Più tardi però, abolita questa riforma, si digiunò anche al Sabato, come a Roma, ma non si adottò l'anticipo che questa fece del digiuno al Mercoledì detto poi delle Ceneri. Ne risultò così la nostra Quaresima di oggi, che inizia il digiuno al Lunedì della sesta Settimana prima della Pasqua, come in antico, e che, sempre come in antico, prescinde dalla materialità dei quaranta giorni di digiuno, non osservandone che trentasei, come solevano pure i Romani del tempo di San Gregorio Magno, il quale ingegnosamente trovava che con tal numero si pagava a Dio la decima per i trecentosessantacinque giorni dell'anno.