(parte II)
Giornalista e scrittore, insignito di numerosi riconoscimenti e premi, ha concesso un'intervista sul saggio Eresia dell'informe. La liturgia romana e il suo nemico, mirante a far riscoprire la straordinaria ricchezza della liturgia tradizionale.
Come reinsegnare che la liturgia è la presenza di Cristo incarnato dopo l'Ascensione, ossia che il rito è «l'attualizzazione dell'Incarnazione», fulcro del cristianesimo? Lei questa fa l'esempio dei monaci di Fontgombault: ritiene possa essere esportabile? E come?
«La liturgia cattolica è ricca e difficile, non è a disposizione di un'immediata comprensione. Richiede un'iniziazione, che nei secoli scorsi avveniva anche attraverso la mentalità del rispetto, creata dalla liturgia. Il rispetto, dice Goethe, non è una qualità naturale dell'uomo, dev'essere acquisito attraverso l'educazione. Questo mostra l'inaudita irresponsabilità dei riformatori, che hanno demolito ciò che si era formato in secoli e che non può essere semplicemente ristabilito, dopo che si è compresa la sterilità di questa opera distruttrice. Per il futuro io vedo un enorme lavoro dei vescovi e dei sacerdoti per ricostruire una formazione cattolica, che si è lasciata andare in rovina in modo sconsiderato. Si tratterà di convincere ed educare i singoli individui, facendo dimentica re il pensiero della massa».
Mi sembra che dal suo libro emerga che gli spiragli di speranza per un positivo futuro della Chiesa cattolica in Occidente derivino dal recupero dell'homo religiosus, «il tipo umano che concepisce la forma materiale come specchio della trascendenza e che vive nella presenza di Dio». Quanto peso può avere in tale recupero la devozione popolare, che lei considera istintivamente incorrotta?
«Di fatto la devozione popolare aveva preservato molte cose, e questo costituiva lo spirito della Chiesa preconciliare, tutte le manifestazioni che rendono sensibilmente sperimentabile la fede, le processioni, i pellegrinaggi, la venerazione e il contatto con immagini sacre, l'attaccamento ai sacramentali, le benedizioni, le candele benedette, i cibi consacrati, ecc. Tuttavia in paesi come la Germania e la Francia, nei quali la scristianizzazione è avanzata parecchio, anche la pietà popolare è così tanto diminuita, dopo essere stata scoraggiata in vari modi dalla Chiesa ufficiale, che dubito possa ancora essere una fonte per la rianimazione della religione cattolica. Il "popolo" in questi paesi è qualcosa di diverso anche rispetto a prima degli anni Sessanta: non più con una base rurale o in qualche modo legata a un ceto di appartenenza, ma una massa sradicata e atomistica. E la Chiesa moderna ha perduto la capacità di influenzare questa massa. Il profondo sovvertimento nella Chiesa non ha potuto trattenere proprio i poveri e i meno istruiti».
Sempre in rapporto all'homo religiosus, Lei fa riferimento alla spiritualità di altre Chiese cristiane, da quella ortodossa a quelle d'Africa. Penso in particolare alla Chiesa copta, di cui, nel Suo libro I 21. Viaggio nella terra dei martiri copti (Cantagalli, Siena 2022), dice che ha conservato i caratteri della prima cristianità e la cui liturgia, «celebrazione dei misteri, non insegnamento religioso», lascia nei fedeli, anche analfabeti, un'impronta spirituale così forte da renderli capaci del martirio. È una condizione ricreabile in Occidente?
«La Chiesa ortodossa dei Copti da più di un millennio ha avuto una storia completamente diversa rispetto alla Chiesa latina, una storia di quasi incessante persecuzione e privazione di diritti, che tuttavia non è riuscita a estinguerla. In questa storia plurisecolare la liturgia tradizionale è stata l'unico elemento che la Chiesa ha fatto sopravvivere. Noi non possiamo semplicemente assumere la spiritualità dei Copti, che costituisce il loro patrimonio antichissimo, sarebbe qualcosa di superficiale, dal momento che non possiamo dimenticare la nostra ricchissima tradizione nel Il millennio d.C., sebbene questo sia il programma teologico del presente nella forma più distruttiva; non sarebbe verosimile una tale riassunzione al fine di spingere i fedeli verso lo zelo di fede dei Copti. Tuttavia possiamo apprendere da essi le qualità necessarie per sopravvivere come Chiesa quando i cristiani, di certo nell'Europa occidentale, saranno divenuti una minoranza poco rispettata e guardata con sospetto».
Può spiegare che cosa intende con "crisi della preghiera" menzionata nel Poscritto?
«Nella mia visione la crisi della preghiera va ricercata in una disposizione verso l'adorazione ampiamente perduta o addirittura combattuta dalla teologia. Oggi, almeno in Germania, si può sentire la formula del tutto ridicola di "un Dio all'altezza degli occhi". Questa falsa comprensione inizia con il linguaggio del corpo, con la soppressione dell'inginocchiarsi e della Prostratio, che per i fedeli che pregano dovrebbe essere propriamente un'esigenza del cuore. Nelle messe dopo la riforma liturgica di Paolo VI, con il loro falso orientamento "versus populum” che ferisce l'intera tradizione della Chiesa, l'adorazione, una centratura di tutti i pensieri del singolo verso Dio, è propriamente impossibile. Domandai a un ragazzino che con i suoi genitori frequentava sia la Messa tradizionale che quella paolina riformata, quale fosse la differenza fra le due forme: "In una il sacerdote parla con la gente, nell'altra con Dio". Non è possibile dirlo in modo più diretto».
Lei ha accolto con favore l'aggiunta, in appendice a questa nuova edizione italiana del suo libro, del saggio di Robert Spaemann Osservazioni di un laico che ama la Messa antica. Questo filosofo cosa rappresenta per lei?
«Robert Spaemann fu, tra i filosofi accademici contemporanei, l'unico noto nemico del relativismo e ha combattuto per l'esistenza di una verità. L'uomo come essere "capace di verità": questo solo teorema lo poneva in conflitto con la filosofia tedesca a partire da Nietzsche e Heidegger. La sua argomentazione era di una logica stringente e, altrettanto ricca dell'eleganza della semplicità, rifiutava di decorare la sua opera con una terminologia scientifica specialistica. Allo stesso tempo era assai stimato fra i suoi colleghi; mi ha sempre stupito il fatto che per la sua posizione e come cattolico praticante non fosse assolutamente isolato, ma che avesse accesso a un'ampia opinione pubblica. Al punto che con un saggio pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, nel quale condannava il consequenzialismo, aveva costretto i vescovi tedeschi a ritornare alla dottrina della Chiesa sull'aborto, cosa che papa Giovanni Paolo II aveva precedente mente invano sollecitato».