CORSO D'EQUITAZIONE PER P.D.P.
Era di notte e girarono a lungo per le strade deserte della città. Arrivati nella piazza principale i due si fermarono davanti al monumento che era grande e con maestosa scalinata di marmo, e c'era scritto a caratteri d'oro « Al Padre della Patria» ma sul piedestallo si vedeva soltanto un cavallo di bronzo.
Uno dei due uomini, quello vestito di nero, era magro, portava una bella barba e aveva una fronte ampia e nobile. L'altro, più piccolo, grassoccio e vestito di grigio, era un tipo insignificante, ma possedeva una gran parlantina. Doveva essere un vecchio deputato o qualcosa del genere: uno di quegli uomini, insomma, che non hanno niente di importante da dire e perciò parlano sempre con gran sussiego e molta autorità, e urlano in mezzo alle piazze spiegando al popolo la storia, la geografia, la filosofia e la politica internazionale.
— Hai visto? — disse l'ometto indicando il monumento.
- Ho visto — rispose l'uomo con la barba.
- Sarai contento, adesso!
— No. Io non sono contento che il Padre della Patria sia un cavallo…
L'ometto si mise a ridere. Il monumento non era dedicato al cavallo: era dedicato all'uomo che fino a poco tempo fa stava seduto su quel cavallo come Padre della Patria. Poi il popolo lo aveva tirato giù e ora il cavallo aspettava che gli mettessero in groppa il nuovo Padre della Patria.
— Quel cavallo aspetta te — concluse l'ometto.
— Aspetta me? — si stupì l'uomo dalla fronte ampia. — E perché?
— Perché sei tu, adesso, il Padre della Patria. Il popolo ci ha ripensato sopra e ha concluso che avevi ragione tu. Non ti resta che montar su.
— Io non so andare a cavallo — esclamò l'uomo dalla fronte alta. — Io non sono mai andato a cavallo. Io sono un uomo di pensiero e gli uomini di pensiero non vanno a cavallo. A cavallo ci debbono andare gli uomini d'arme.
- Ma i Padri della Patria debbono andare a cavallo. Non si ammette che a un Padre della Patria si faccia un monumento a piedi. Tu sei il Padre della Patria e perciò devi essere eternato sopra un cavallo: è una cosa più dignitosa, più epica.
— Io non ci tengo — rispose l'uomo dalla fronte alta — io quel che ho pensato, scritto e detto, l'ho pensato, scritto e detto a piedi. Io non ci tengo al cavallo.
— E cosa vuol dire? Non è per te, è per la Patria che tu devi montare a cavallo. Che figura ci fa la Patria di fronte allo straniero? «Le presento mio padre» dice la Patria allo straniero. E quello sogghigna: «Ah, suo padre quel signore lassù che aspetta il tram?».
L'uomo dalla fronte alta si seccò, cosa c'entrava il tram?
— Hai voglia di renderlo interessante mettendogli in mano un rotolo di carta e in testa frasche d'alloro. Un borghese in piedi su un piedestallo dà sempre l'idea di uno che aspetta il tram. Guarda Cavour: con quella sua mano protesa in avanti non pare uno che chieda: «Scusi, passa di qui il 37?». Per il decoro della Patria tu hai il dovere di salire a cavallo.
L'uomo dalla fronte alta protestò ancora che lui non sapeva andare a cavallo, e che non si fidava di salire su un cavallo che pareva oltre tutto ombrosissimo. E l'altro allora lo afferrò per un braccio e lo trascinò con sé.
- Niente di male, amico mio - disse. — Con tre lezioni sei a posto. Ti porterò io da uno che ti farà un rapidissimo corso d'equitazione.
***
Arrivarono sul far del giorno in una gran tenuta in campagna, nel centro della quale erano bellissime stalle per cavalli, e l'ometto presentò il compagno al proprietario.
— Occorre un buon cavallo e un istruttore per questo mio amico che deve fare un corso accelerato di equitazione — spiegò.
— Spiacente — rispose il cavallaro - ma per il momento tutti i cavalli e tutti gli istruttori sono impegnati.
— Possibile?
— Possibilissimo - esclamò l'uomo. - Pare che adesso tutti sentano il bisogno urgente di imparare a cavalcare. Si mettano qui dietro questa pianta e vedranno. I due si misero dietro la pianta e cominciò a passare gente a cavallo, e mano a mano che passavano, il padrone della baracca diceva sottovoce i nomi dei cavalieri:
— Ecco il signor Nenni, il signor Togliatti, il signor Parri, il signor De Gasperi, il signor Calosso, il signor Greppi, il signor Giannini, il signor Romita...
Poi passarono altri cavalieri assicurati alla sella con funi e cinghie.
- Sono vecchi — spiegò il cavallaro - e bisogna stare attenti. Quello che è passato ora è il conte Sforza, poi c'è il signor Benedetto Croce, il signor Bonomi, il signor Nitti, il signor Mario Borsa, il signor Orlando. L'ultimo, quel sacerdote, è don Luigi Sturzo che è venuto apposta dall'estero. Alla fine sbucò al galoppo un cavaliere ammantato in una lunghissima cappa, con un ampio cappellaccio da cowboy in capo e un fazzoletto a scacchi bianchi e rossi che gli copriva il viso fino agli occhi.
— E quello chi è? — domandarono i due.
Il cavallaro titubò un poco.
- Quello è Sua Santità in persona — sussurrò.
L'ometto domandò al cavallaro quando il suo amico avrebbe potuto avere un cavallo libero.
— Non so con precisione, adesso. Bisogna che si prenoti. Vuol darmi il nome del suo amico?
L'ometto stava per dirglielo ma l'uomo dalla fronte ampia e dal nobile viso intervenne.
— No, non si fa niente — esclamò. — Continuo a camminare a piedi, non voglio mettermi in concorrenza con nessuno.
E se ne andò. E così accadde che Giuseppe Mazzini non imparò ad andare a cavallo.
(Giovanni Guareschi, Candido n° 26 del 29.6.1946)