Il sole sorge ancora
Don Camillo aveva parlato con estrema calma e se ne andò subito e Peppone rimase a guardarlo a bocca aperta. Non aveva mai sentito parlare don Camillo con quella voce: era una voce fredda e lontana, come se venisse da un altro mondo. Ci ripensò su parecchio, anche il giorno seguente, poi non ebbe più tempo per pensarci perché attaccarono ai muri i manifesti di un comizio dell'Unità Socialista e allora dovette pensare soltanto a organizzare la controdimostrazione come stava scritto sul foglio delle direttive. Alla domenica il paese era gremito di gente.
- In prima fila, davanti alla tribuna, si mettano i compagni del Molinetto e di Torricella - ordinò Peppone. - Appena l'oratore sgarra un pochino entrano in azione. Sanno quello che devono gridare. I compagni del paese vanno tutti al Molinetto e a Torricella a lavorare ai comizi della DC e del Blocco Nazionale. Io, il Brusco e gli altri dirigenti stiamo chiusi in Comune e non ci facciamo vedere. Interveniamo soltanto se succede il pasticcio.
Il saragattiano era uno sui trentacinque, un tipo distinto e parlava bene. Appena sentì quella voce Peppone fece un balzo sulla sedia e andò a sbirciare dalla finestra. - È proprio lui! - balbettò. E il Brusco e il Bigio e lo Smilzo e tutti gli altri che erano con lui risposero che era proprio lui e poi non dissero più niente.
Le squadre di disturbo entrarono in azione pochi minuti dopo. L'oratore controbatté gli insulti e le accuse con molta energia e quelli delle squadre si imbestialirono sempre di più e, a un bel momento, saltarono sul palco e si buttarono sull'oratore.
Peppone e lo stato maggiore schizzarono giù, ma era troppo tardi. La gente faceva ora ressa davanti alla casa dove avevano portato l'oratore e Peppone e il suo stato maggiore si buttarono a capofitto in mezzo alla folla e arrivarono di prepotenza fino al portone. L'oratore era seduto e una donna stava fasciandogli una mano. Aveva sangue sulla faccia perché qualcuno lo aveva colpito alla fronte con una chiave. Peppone stette a guardarlo a bocca aperta. Il ferito alzò la testa.
- Ciao, Peppone - disse sorridendo. - Hai organizzato tu questa festicciola?
Peppone non rispose e il ferito sorrise ancora.
- Ah, c'è anche il Brusco, il Bigio, lo Smilzo, Straziami e il Lungo. E ci sono anche io. La vecchia squadraccia è al completo: mancano soltanto Giacomino e il Rosso che sono rimasti lassù. Chi l'avrebbe detto che il bravo Peppone avrebbe organizzato questo ricevimento al suo vecchio comandante... Peppone allargò le braccia.
- Capo - balbettò - io non sapevo...
- Per l'amor di Dio - lo interruppe il ferito. - Non ci badare. Siamo in guerra e ognuno si difende come può. Ti capisco perfettamente.
La mano era fasciata e il ferito si alzò.
- Addio, compagno Peppone - disse sorridendo. - Abbiamo salvato la pellaccia con i tedeschi, speriamo di salvarla anche con i comunisti. Fortunati Giacomino e il Rosso che sono rimasti in montagna.
Uscì e montò sulla macchina che aspettava davanti alla porta. Peppone sentì le urla e i fischi che salutavano la partenza dell'automobile. Anche la voce del "capo" quando aveva detto: «Fortunati Giacomino e il Rosso che sono rimasti in montagna» era gelida e lontana come quella di don Camillo quando aveva detto: «Dio non assolverà voi, carne maledetta». Alla sera i capi delle squadre che avevano lavorato a Molinetto e a Torricella vennero a fare il loro rapporto: a Molinetto l'oratore democristiano aveva dovuto smettere a metà, senza incidenti gravi. A Torricella l'oratore del Blocco era stato schiaffeggiato.
Peppone li conosceva tutt'e due: il primo era un vecchio professore universitario,
il secondo un reduce dai campi di prigionia tedeschi.
- In città - spiegò il comandante della squadra di Molinetto - c'è stato un bel movimento: i compagni hanno pestato gli studenti e anche un sergente della Celere s'è presa una legnata in testa.
- Bene - rispose Peppone, alzandosi e uscendo. Il sole stava tramontando e Peppone si avviò lentamente per la strada che portava al fiume. Sull'argine c'era qualcuno che stava fumando il toscano e guardava l'acqua. Ed era don Camillo.
Stettero zitti per un bel po', quindi Peppone disse che era una bella sera.
- Bella sera davvero - rispose don Camillo.
Peppone accese un mezzo toscano, tirò qualche boccata, poi lo spense sfregandolo
sotto la suola della scarpa. Poi sputò con rabbia.
- Tutti sono contro di noi - disse cupo. - Tutti, perfino il mio vecchio comandante partigiano. Tutti contro di noi, anche Dio!
Don Camillo continuò a fumare tranquillo.
- Non è che tutti son contro di voi: siete voi contro tutti. Anche contro Dio.
Peppone incrociò le braccia sul petto.
- Perché mai avete detto che sono carne maledetta? Forse perché la vecchia Bacchini voterà per noi?
- La vecchia Bacchini? E chi è?
- Ho girato tutte le famiglie con dispersi in Russia, ieri, e la vecchia Bacchini mi ha raccontato che due donne erano andate da lei per via del Fronte. Le ho detto che sono due imbroglione e anche se lei vota per il Fronte, suo figlio non tornerà!
Don Camillo buttò via il sigaro.
- E lei?
- Mi ha domandato per chi deve votare allora perché suo figlio torni! E io le ho risposto che non lo so, e la vecchia ha detto che allora se non c'è nessun partito che faccia tornare suo figlio è inutile che lei vada a votare. Don Camillo lo guardò. - Sei un cretino - disse. Lo disse con voce solenne, ma non era più la voce che aveva detto a Peppone «carne maledetta» e Peppone si sentì confortato. E pen-sando alla faccia piena di sangue del suo antico comandante, e al reduce picchiato a Molinetto e al vecchio professore fischiato a Torricella, gli venne da piangere. Ma si riscosse e gridò con ferocia:
- Ma vinceremo noi!
- No - gli disse don Camillo calmo, con estrema sicurezza.