L’opera principale, tra gli scritti di Maria Valtorta, è pubblicata in dieci volumi sotto il titolo: L’Evangelo come mi è stato rivelato. Narra la nascita e l’infanzia della Vergine Maria e del figlio suo Gesù, i tre anni della vita pubblica di Gesù (che costituiscono il grosso dell’opera), la sua passione, morte, resurrezione e ascensione, i primordi della Chiesa e l’assunzione di Maria.
Letterariamente elevata, l’opera descrive paesaggi, ambienti, persone, eventi, con la vivezza di una rappresentazione; delinea caratteri e situazioni con abilità introspettiva; espone gioie e drammi con il sentimento di chi vi partecipa realmente; informa su caratteristiche ambientali, usanze, riti, culture, con particolari ineccepibili. Attraverso l’avvincente racconto della vita terrena del Redentore, ricca di discorsi e di dialoghi, illustra tutta la dottrina del cristianesimo conforme all’ortodossia cattolica.
Maria Valtorta scrisse quasi giornalmente, dal 23 aprile 1943, quando ebbe il primo “dettato” del Signore, fino al 1947, e più sporadicamente negli anni successivi fino al 1951. Costretta a letto, qui scrisse a mano 122 quaderni per un totale di circa 15.000 pagine. Utilizzò la penna stilografica, non preparava schemi, non sapeva neppure cosa avrebbe scritto giorno per giorno, non afferrava a volte il senso profondo di certe pagine mentre le scriveva, non rileggeva per correggere.
Non aveva bisogno di concentrarsi né di consultare libri, tranne la Bibbia e il Catechismo di Pio X. Poteva essere interrotta anche per delle banalità e riprendere senza perdere il filo, ma non la fermavano le fasi acute del suo soffrire quotidiano o il bisogno impellente di riposare. Partecipava con tutta sé stessa allo scritto che fluiva spontaneamente dalla sua penna di scrittrice dotata.
Maria Valtorta nacque il 14 marzo 1897 a Caserta. Figlia unica di un maresciallo di Cavalleria e di una insegnante di francese, visse i primi anni di vita a Faenza, in Romagna e successivamente a Milano, dove frequentò l’asilo presso le suore Orsoline. Fu qui che, in età precoce, ebbe l’intuizione mistica che l’avrebbe segnata per sempre.
All’età di 12 anni, la madre la mandò al prestigioso Collegio Bianconi di Monza, tenuto dalle Suore di Maria Ss. Bambina. Maria lo considerò il suo “nido di pace”, che per quattro anni appagò il suo amore allo studio e alla disciplina. Al momento di uscirne, sedicenne, la predica di un Vescovo le fece capire che il Signore le chiedeva una vita di amorosa penitenza ma rimanendo nel mondo.
Durante la prima guerra mondiale fu infermiera "samaritana" nell'Ospedale Militare di Firenze, città in cui abitò a lungo e dove fu segnata dalle prove più dure, procurate dalla terribile mamma, che per due volte infranse il suo legittimo sogno d'amore, e da un sovversivo, che per strada le sferrò una bastonata alle reni. La sua vera missione, quella di scrittrice mistica, maturò e si svolse negli anni centrali della sua lunga infermità, che la costrinse a letto dal 1934 fino alla morte, avvenuta a Viareggio il 12 ottobre 1961.
Per maggiori informazioni consultare il sito ufficiale: mariavaltorta.com
Vedo ancora l’interno di questo povero rifugio petroso dove hanno trovato asilo, accumunati nella sorte a degli animali, Maria e Giuseppe.
Il fuocherello sonnecchia insieme al suo guardiano. Maria solleva piano il capo dal suo giaciglio e guarda. Vede che Giuseppe ha il capo reclinato sul petto come se pensasse, e pensa che la stanchezza soverchi il suo buon volere di rimanere desto. Sorride d’un buon sorriso e, facendo meno rumore di quanto ne può fare una farfalla che si posi su una rosa, si mette seduta e da seduta in ginocchio. Prega con un sorriso beato sul volto.
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«Non dormi, Maria?», chiede.
Lo chiede tre volte, finché Ella si riscuote e risponde: «Prego».
«Non abbisogni di nulla?».
«No, Giuseppe».
«Cerca di dormire un poco. Di riposare almeno».
«Cercherò. Ma pregare non mi stanca».
«Addio, Maria».
«Addio, Giuseppe».
Maria riprende la sua posa. Giuseppe, per non cedere più al sonno, si pone in ginocchio presso il fuoco e prega.
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E la luce cresce sempre più. È insostenibile all’occhio. In essa scompare, come assorbita da un velario d’incandescenza, la Vergine… e ne emerge la Madre.
Sì. Quando la luce torna ad essere sostenibile al mio vedere, io vedo Maria col Figlio neonato sulle braccia. Un piccolo Bambino, roseo e grassottello, che annaspa e zampetta con le manine grosse quanto un boccio di rosa e coi piedini che starebbero nell’incavo di un cuore di rosa; che vagisce con una vocina tremula, proprio di agnellino appena nato, aprendo la boccuccia che sembra una fragolina di bosco e mostrando la linguetta tremolante contro il roseo palato; che muove la testolina tanto bionda da parere quasi nuda di capelli, una tonda testolina che la Mamma sostiene nella curva di una sua mano, mentre guarda il suo Bambino e lo adora piangendo e ridendo insieme e si curva a baciarlo, non sulla testa innocente, ma su, centro del petto, là dove sotto è il cuoricino che batte, batte per noi… là dove un giorno sarà la Ferita. Gliela medica in anticipo, quella ferita, la sua Mamma, col suo bacio immacolato.
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Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare sono le piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.
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Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni paiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.
In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni «i figli del tuono» (Marco 3, 17; Vol 5 Cap 330; Vol 9 Cap 575). Ma allora come chiamare questo veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire.
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Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, sono l'antitesi l'uno dell'altro. Alti tutti e due - è l'unica somiglianza - sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto d'un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall'abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero nella barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall'aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.
Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante, esclama: «Ecco l'Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore?».
Gesù risponde placido: «Per compiere il rito di penitenza».
«Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?».
E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s'era curvato davanti a Gesù, risponde: «Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo».
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Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma che noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc. ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone, che pare un domino da maschera. Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sottili e sinuose, dagli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici. Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nelle quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero. L'opposto dell'occhio di Gesù, tanto magnetico e fascinatore anche esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo cuore è amore e bontà per te. L'occhio di Gesù è una carezza sull'anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia.
4 Si avvicina a Gesù: «Sei solo?».
Gesù lo guarda e non risponde.
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«Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della terra. Ti posso esser maestro per insegnarti a trionfare. Vedi: l'importante è trionfare. Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo, allora lo si conduce anche dove si vuole noi. Ma prima bisogna essere come piace a loro. Come loro. Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero.
Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. È sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sbagliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t'insegno, perché c'è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico, e un resto di quell'amore è rimasto (giubilo e amore sono riferiti agli angeli, spiriti puri, la cui creazione e la cui funzione, ma Tu ascoltami ed usa della mia esperienza. Fàtti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Adamo: devi avere la tua Eva.
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Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho d'esser adorato! È quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia. Le vampe dell'inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l'interno. È il mio inferno, questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo, Tu che sei buono! Un attimo di gioia all'eterno Tormentato! Fàmmi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!».
E Satana si butta in ginocchio, supplicando.
9 Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono, che si ripercuote contro l'incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata, quando dice: «Va' via, Satana. È scritto: "Adorerai il Signore Iddio tuo e servirai Lui solo"!». (Deut. 6,13)
Satana, con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile, scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.
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