Guarigione di un ebete.
«Ma è guarito per volontà tua o per potere del Nome tuo?», chiedono in molti.
«Per volontà del Padre, sempre benigno al Figlio. Ma anche il mio Nome è salvezza. Voi lo sapete: Gesù vuol dire Salvatore.
La salvezza è dell’anima e dei corpi. Chi dice il Nome di Gesù con vera fede risorge dai morbi e dal peccato, perché in ogni malattia spirituale o fisica è l’unghia di Satana, il quale crea le malattie fisiche per portare alla ribellione e alla disperazione attraverso la sofferenza della carne, e quelle morali o spirituali per portare alla dannazione».
«Allora secondo Te in ogni afflizione del genere umano non è estraneo Belzebù».
«Non è estraneo. Per lui malattia e morte sono entrate nel mondo. E delitto e corruzione ugualmente per lui sono entrati nel mondo. Quando vedete uno tormentato da qualche sventura, pensate pure che egli soffre per Satana. Quando vedete che uno è causa di sventura, pensate anche che egli è strumento di Satana».
«Ma le malattie vengono da Dio».
«Le malattie sono un disordine nell’ordine. Perché Dio ha creato l’uomo sano e perfetto. Il disordine, portato da Satana nell’ordine dato da Dio, ha portato seco le infermità della carne e le conseguenze delle stesse, ossia la morte, oppure le ereditarietà funeste. L’uomo ha ereditato da Adamo ed Eva la macchia di origine. Ma non quella sola. E la macchia sempre più si estende abbracciando i tre rami dell’uomo: la carne sempre più viziosa e perciò debole e malata, il morale sempre più superbo e perciò corrotto, lo spirito sempre più incredulo ossia sempre più idolatra. Perciò occorre, come ho fatto Io con quel deficiente, insegnare il Nome che fuga Satana, scolpirlo nella mente e nel cuore, metterlo sull’io come un sigillo di proprietà».
La discesa dello Spirito Santo.
Un rombo fortissimo e armonico, che ha del vento e dell’arpa, che ha del canto umano e della voce di un organo perfetto, risuona improvviso nel silenzio del mattino. Si avvicina, sempre più armonico e più forte, ed empie delle sue vibrazioni la Terra, le propaga e imprime alla casa, alle pareti, alle suppellettili. La fiamma del lampadario, sino allora immobile nella pace della stanza chiusa, palpita come se un vento l’investisse, e le catenelle della lumiera tintinnano vibrando sotto l’onda di suono soprannaturale che le investe.
Gli apostoli alzano il capo sbigottiti e, come quel fragore bellissimo, in cui sono tutte le note più belle che Dio abbia dato ai Cieli e alla Terra, si fa sempre più vicino, alcuni si alzano pronti a fuggire, altri si rannicchiano al suolo coprendosi il capo con le mani e il manto, o battendosi il petto domandando perdono al Signore, altri ancora si stringono a Maria, troppo spaventati per conservare quel ritegno verso la Purissima che hanno sempre.
Solo Giovanni non si spaventa, perché vede la pace luminosa di gioia che si accentua sul volto di Maria, che alza il capo sorridendo ad una cosa nota a Lei sola e che poi scivola in ginocchio aprendo le braccia, e le due ali azzurre del suo manto così aperto si stendono su Pietro e Giovanni, che l’hanno imitata inginocchiandosi.
Ma tutto ciò, che io ho tenuto minuti a descrivere, si è fatto in men di un minuto.
E poi ecco la Luce, il Fuoco, lo Spirito Santo, entrare, con un ultimo fragore melodico, in forma di globo lucentissimo, ardentissimo, nella stanza chiusa, senza che porta o finestra sia mossa, e rimanere librato per un attimo sul capo di Maria, a un tre palmi dalla sua testa, che ora è scoperta, perché Maria, vedendo il Fuoco Paraclito, ha alzato le braccia come per invocarlo e gettato indietro il capo con un grido di gioia, con un sorriso d’amore senza confini. E dopo quell’attimo in cui tutto il Fuoco dello Spirito Santo, tutto l’Amore è raccolto sulla sua Sposa, il Globo Ss. si scinde in tredici fiamme canore e lucentissime, di una luce che nessun paragone terreno può descrivere, e scende a baciare la fronte di ogni apostolo.
Ma la fiamma che scende su Maria non è una lingua di fiamma dritta sulla fronte che bacia, ma è una corona che abbraccia e cinge come un serto il capo verginale, incoronando Regina la Figlia, la Madre, la Sposa di Dio, l’incorruttibile Vergine, la Tutta Bella, l’eterna Amata e l’eterna Fanciulla che nulla cosa può avvilire e in nulla, Colei che il dolore aveva invecchiata ma che è risorta nella gioia della Risurrezione, avendo in comune col Figlio un accentuarsi di bellezza e di freschezza di carni, di sguardi, di vitalità… avendone già un anticipo della bellezza del suo glorioso Corpo assunto al Cielo ad essere il fiore del Paradiso.
Lo Spirito Santo rutila le sue fiamme intorno al capo dell’Amata. Quali parole le dirà? Mistero! Il viso benedetto è trasfigurato di gioia soprannaturale e ride del sorriso dei Serafini, mentre delle lacrime beate sembrano diamanti giù per le gote della Benedetta, percosse come sono dalla luce dello Spirito Santo.
Il Fuoco rimane così per qualche tempo… E poi dilegua… Della sua discesa resta a ricordo una fragranza che nessun terrestre fiore può sprigionare… Il profumo del Paradiso…
Gli apostoli tornano in loro stessi… Maria resta nella sua estasi. Soltanto si raccoglie le braccia sul petto, chiude gli occhi, abbassa il capo… Continua il suo colloquio con Dio… insensibile a tutto… Nessuno osa turbarla.
Giovanni, accennandola, dice: «È l’Altare. E sulla sua gloria si è posata la Gloria del Signore…».
Addio alla Madre prima di ascendere al Padre.
«Mamma. Il mio tempo di sosta sulla Terra è finito. Ascendo al Padre. Sono venuto a darti un particolare addio ed a mostrarmi a te ancora una volta così come sarò in Cielo. Non ho potuto mostrarmi agli uomini con questa veste di splendore. Non avrebbero potuto sopportare la bellezza del mio Corpo glorificato. Essa è troppo superiore alle loro possibilità. Ma a te, Mamma, sì. E vengo a letificarti ancora una volta con essa.
Bacia le mie Ferite. Che Io senta in Cielo il profumo delle tue labbra e che a te rimanga su esse la dolcezza del mio Sangue.
Ma sta’ sicura, Mamma, che Io non ti lascerò mai. Uscirò dal tuo cuore quei pochi istanti necessari alla consacrazione del Pane e del Vino per tornarvi poi, dopo essermi staccato da te a fatica, con un’ansia d’amore pari alla tua, o mio Cielo vivo di cui Io sono il Cielo.
Non saremo mai tanto uniti come d’ora in poi. Prima c’era la mia incapacità embrionale, poi la mia puerizia, e poi la lotta della vita e del lavoro, e poi la missione, e poi la Croce e il Sepolcro a tenermi lontano e impedito a dirti quanto Io ti amo. Ma ora sarò in te non più creatura che si forma, non più presso a te fra gli ostacoli del mondo che interdice la fusione di due che si amano. Ora sarò in te come Dio, e nulla, nulla nella Terra e nel Cielo sarà atto a separare Me da te, tu da Me, Madre santa. Ti dirò parole di ineffabile amore, ti darò carezze di inesprimibile dolcezza. E tu mi amerai per chi non mi ama.
Oh! Tu colmi la misura dell’amore, che il mondo non darà al Cristo, col tuo amore perfetto, Mamma. Perciò, più che un addio, il mio è il saluto di chi esce per un momento, come andassi a coglier rose e gigli in questo giardino fiorito. Ma ti porterò dal Cielo altre rose ed altri gigli più belli di questi qui fioriti. Te ne empirò il cuore, Mamma, per farti dimenticare il puzzo della Terra, che non vuole essere santa, e anticiparti l’aura del beato Paradiso, dove sei attesa da tanto amore.
E l’Amore, che non sa attendere, verrà su te fra dieci giorni. Fàtti bella della tua più bella letizia, o Madre Vergine, ché il tuo Sposo viene. L’inverno è passato… le vigne in fiore mandano il loro profumo, ed Egli canta[121]: “Sorgi, o tutta bella. Vieni, o mia Sposa, sarai coronata”. Del suo Fuoco ti coronerà, o Santa, e ti farà felice del suo Spirito, che si infonderà in te con tutti i suoi splendori, o Regina della Sapienza, sua Regina, che hai saputo comprenderlo sin dal mattino della tua vita ed amarlo come creatura al mondo mai amò.
Madre. Io salgo al Padre nostro. Su te, Benedetta, la benedizione del tuo Figlio».
Maria raggia nell’estasi, nella stanza che rimane luminosa della luce di Cristo.
Apparizione agli apostoli con Tommaso.
Gesù è apparso in maniera molto curiosa. La parete dietro le spalle dei commensali, tutta di un pezzo meno che nell’angolo della porticina, si è illuminata al centro, ad un’altezza di un metro circa dal suolo, di una luce tenue e fosforica come è quella che emanano certi quadretti che sono luminosi solo nel buio della notte. La luce, alta quasi due metri, ha forma ovale, come fosse una nicchia. Nella luminosità, come avanzasse da dietro veli di nebbia luminosa, emerge sempre più netto Gesù. Non so se riesco a spiegarmi bene. Pare che il suo Corpo fluisca attraverso lo spessore della parete. Questa non si apre. Resta compatta, ma il Corpo passa ugualmente. La luce pare la prima emanazione del suo Corpo, l’annuncio del suo avvicinarsi. Il Corpo dapprima è a lievi linee di luce, così come io vedo in Cielo il Padre e gli angeli santi: immateriale. Poi si materializza sempre più, prendendo in tutto l’aspetto di un corpo reale. Del suo divino Corpo glorificato. (…)
Giovanni scatta in piedi lasciando cadere sulla tavola il piatto delle formaggelle tonde e, appoggiando le mani all’orlo della tavola, si piega un poco verso questa e obliquamente, come per calamita che lo attiri verso se stessa, e getta un «Oh!» sommesso e pur intenso. Gli altri, che avevano alzato il capo dai loro piatti al cadere rumoroso del piatto delle formaggelle e allo scatto di Giovanni e l’avevano guardato stupiti, vedendo la sua posa estatica seguono il suo sguardo. Torcono il capo o si girano su se stessi, a seconda di come si trovano rispetto al Maestro, e vedono Gesù. Si alzano tutti in piedi, commossi e beati, e corrono a Lui, che accentuando il sorriso avanza verso loro, camminando, ora, sul suolo come tutti i mortali. Gesù, che prima fissava unicamente Giovanni, e credo che questi si sia voltato attratto da quello sguardo che l’accarezzava, guarda tutti e dice: «Pace a voi».
Tutti ora gli sono intorno, chi in ginocchio ai suoi piedi, e fra questi sono Pietro e Giovanni — anzi Giovanni bacia un lembo della veste e se la posa sul viso come per esserne carezzato — chi più indietro, in piedi, ma molto curvo in atto di ossequio. Pietro, per fare più presto ad arrivare, ha fatto un vero salto al disopra del sedile, scavalcandolo, senza attendere che Matteo, uscendo per primo, lasciasse libero il posto. Bisogna ricordare che i sedili servivano a due persone per volta.
L’unico che resta un poco lontano, impacciato, è Tommaso. Si è inginocchiato presso la tavola. Ma non osa venire avanti e pare, anzi, tenti nascondersi dietro all’angolo di essa. Gesù, dando le sue Mani a baciare — gli apostoli gliele cercano con bramosia santa e amorosa — gira lo sguardo sulle teste chine come cercasse l’undecimo. Ma lo ha visto dal primo momento e fa così solo per dare tempo a Tommaso di rinfrancarsi e venire. Vedendo che l’incredulo, vergognoso del suo non credere, non osa farlo, lo chiama: «Tommaso. Vieni qui».
Tommaso alza il capo, confuso, quasi piangente, ma non osa venire. Abbassa di nuovo il capo. Gesù fa qualche passo nella sua direzione e torna a dire: «Vieni qui, Tommaso». La voce di Gesù è più imperiosa della prima volta. Tommaso si alza riluttante e confuso e va verso Gesù.
«Ecco colui che non crede se non vede!», esclama Gesù. Ma nella sua voce è un sorriso di perdono.
Tommaso lo sente, osa guardare Gesù e vede che sorride proprio, allora prende coraggio e va più in fretta.
«Vieni qui, ben vicino. Guarda. Metti un dito, se non ti basta guardare, nelle ferite del tuo Maestro».
Gesù ha porto le Mani e poi si è aperto la veste sul petto scoprendo lo squarcio del Costato. Ora la luce non emana più dalle Ferite. Non emana più da quando, uscendo dal suo alone di luce lunare, si è messo a camminare come Uomo mortale, e le Ferite appaiono nella loro cruenta realtà: due fori irregolari, di cui il sinistro va fino al pollice, che trapassano un polso e un palmo alla sua base, e un lungo taglio, che nel lato superiore è lievemente ad accento circonflesso, al Costato.
Tommaso trema, guarda e non tocca. Muove le labbra, ma non riesce a parlare chiaramente. «Dammi la tua mano, Tommaso», dice Gesù con tanta dolcezza. E prende con la sua destra la mano destra dell’apostolo e ne afferra l’indice e lo conduce nello squarcio della sua Mano sinistra, ve lo ficca ben dentro, per fargli sentire che il palmo è trapassato, e poi dalla Mano lo porta al Costato. Anzi, afferra ora le quattro dita di Tommaso, alla loro base, al metacarpo, e pone queste quattro grosse dita nello squarcio del Petto, facendole entrare, non limitandosi ad appoggiarle all’orlo, e ve le tiene guardando fisso Tommaso. Uno sguardo severo e pur dolce, mentre continua: «… Metti qua il tuo dito, poni le dita e anche la mano, se vuoi, nel mio Costato, e non essere incredulo ma fedele». Questo dice mentre fa quanto ho detto prima.
Tommaso — pare che la vicinanza del Cuore divino, che egli quasi tocca, gli abbia comunicato coraggio — riesce finalmente a parlare e a spiccicare le parole, e dice, cadendo a ginocchio con le braccia alzate e uno scoppio di pianto di pentimento: «Signore mio e Dio mio!». Non sa dire altro. Gesù lo perdona. Gli pone la destra sul capo e risponde: «Tommaso, Tommaso! Ora credi perché hai veduto… Ma beati coloro che crederanno in Me senza aver visto! Quale premio dovrò dare loro se devo premiare voi, la cui fede è stata soccorsa dalla forza del vedere?…».
La preghiera del "Padre nostro".
Gesù si è alzato per dire la preghiera e tutti lo hanno imitato, attenti, commossi.
«Non occorre altro, amici miei. In queste parole è chiuso come in un cerchio d’oro tutto quanto abbisogna all’uomo per lo spirito e per la carne e il sangue. Con questo chiedete ciò che è utile a quello e a questi. E se farete ciò che chiedete, acquisterete la vita eterna. È una preghiera tanto perfetta che i marosi delle eresie e il corso dei secoli non l’intaccheranno. Il cristianesimo sarà spezzettato dal morso di Satana e molte parti della mia carne mistica verranno staccate, separate, facenti cellule a sé, nel vano desiderio di crearsi a corpo perfetto come sarà il Corpo mistico del Cristo, ossia quello dato da tutti i fedeli uniti nella Chiesa apostolica che sarà, finché sarà la Terra, l’unica vera Chiesa. Ma queste particelle separate, prive perciò dei doni che Io lascerò alla Chiesa Madre per nutrire i miei figli, si chiameranno però sempre cristiane, avendo culto al Cristo, e sempre si ricorderanno, nel loro errore, di essere venute dal Cristo. Ebbene, esse pure pregheranno con questa universale preghiera. Ricordatevela bene. Meditatela continuamente. Applicatela alle vostre azioni. Non occorre altro per santificarsi. Se uno fosse solo, in un posto di pagani, senza chiese, senza libri, avrebbe già tutto lo scibile da meditare in questa preghiera e una chiesa aperta nel suo cuore per questa preghiera.
Avrebbe una regola e una santificazione sicura.
“Padre nostro”.
Io lo chiamo: “Padre”. Padre è del Verbo, Padre è dell’Incarnato. Così voglio lo chiamiate voi, perché voi siete uni con Me se voi in Me permanete. Un tempo era che l’uomo doveva gettarsi volto a terra per sospirare, fra i tremori dello spavento: “Dio!”. Chi non crede in Me e nella mia parola ancora è in questo tremore paralizzante… Osservate nel Tempio. Non Dio, ma anche il ricordo di Dio è celato dietro triplice velo agli occhi dei fedeli…
Separazioni di distanze, separazioni di velami, tutto è stato preso e applicato per dire a chi prega: “Tu sei fango. Egli è Luce. Tu sei abbietto. Egli è Santo. Tu sei schiavo. Egli è Re”. Ma ora!… Alzatevi! Accostatevi! Io sono il Sacerdote eterno. Io posso prendervi per mano e dire: “Venite”. Io posso afferrare le tende del velario e aprirle, spalancando l’inaccessibile luogo chiuso fino ad ora. Chiuso? Perché? Chiuso per la Colpa, sì. Ma ancor più serrato dall’avvilito pensiero degli uomini. Perché chiuso, se Dio è Amore, se Dio è Padre? Io posso, Io devo, Io voglio portarvi non nella polvere, ma nell’azzurro; non lontani, ma vicini; non in veste di schiavi, ma di figli sul cuore di Dio.
“Padre! Padre!”, dite. E non stancatevi di dire questa parola. Non sapete che ogni volta che la dite il Cielo sfavilla per la gioia di Dio? Non diceste che questa, e con vero amore, fareste già orazione gradita al Signore. “Padre! Padre mio!”, dicono i piccoli al padre loro. È la parola che dicono per prima: “Madre, padre”. Voi siete i pargoli di Dio. Io vi ho generati dal vecchio uomo che eravate e che Io ho distrutto col mio amore per far nascere l’uomo nuovo, il cristiano. Chiamate dunque con la parola che per prima conoscono i pargoli, il Padre Ss. che è nei Cieli.
"Sia santificato il Tuo Nome".
Oh! Nome più di ogni altro santo e soave. Nome che il terrore del colpevole vi ha insegnato a velare sotto un altro. No, non più Adonai, non più. E' Dio. E' il Dio che in un eccesso di amore ha creato l'Umanità. L'Umanità, d'ora in poi, con le labbra mondate dal lavacro che Io preparo, lo chiami col suo Nome, riservandosi di comprendere con pienezza di sapienza il vero significato di questo Incomprensibile quando, fusa con Esso, l'Umanità, nei suoi figli migliori, sarà assurta al Regno che Io sono venuto a stabilire.
“Venga il Regno tuo in Terra come in Cielo”.
Desideratelo con tutte le vostre forze questo avvento. Sarebbe la gioia sulla Terra se esso venisse. Il Regno di Dio nei cuori, nelle famiglie, fra i cittadini, fra le nazioni. Soffrite, faticate, sacrificatevi per questo Regno. Sia la Terra uno specchio che riflette nei singoli la vita dei Cieli. Verrà. Un giorno tutto questo verrà. Secoli e secoli di lacrime e sangue, di errori, di persecuzioni, di caligine rotta da sprazzi di luce irraggianti dal Faro mistico della mia Chiesa – che, se barca è, e non verrà sommersa, è anche scogliera incrollabile ad ogni maroso, e alta terrà la Luce, la mia Luce, la Luce di Dio – precederanno il momento in cui la Terra possederà il Regno di Dio. E sarà allora come il fiammeggiare intenso di un astro che, raggiunto il perfetto del suo esistere, si disgrega, fiore smisurato dei giardini eterei, per esalare in un rutilante palpito la sua esistenza e il suo amore ai piedi del suo Creatore. Ma venire verrà. E poi sarà il Regno perfetto, beato, eterno del Cielo.
“E in Terra come in Cielo sia fatta la tua Volontà”.
L’annullamento della volontà propria in quella di un altro si può fare solamente quando si è raggiunto il perfetto amore verso quella creatura. L’annullamento della volontà propria in quella di Dio si può fare solo quando si è raggiunto il possesso delle teologali virtù in forma eroica. In Cielo, dove tutto è senza difetti, si fa la volontà di Dio. Sappiate, voi, figli del Cielo, fare ciò che in Cielo si fa.
“Dacci il nostro pane quotidiano”.
Quando sarete nel Cielo vi nutrirete soltanto di Dio. La beatitudine sarà il vostro cibo. Ma qui ancora abbisognate di pane. E siete i pargoli di Dio. Giusto dunque dire: “Padre, dacci il pane”.
Avete timore di non essere ascoltati? Oh, no! Considerate. Se uno di voi ha un amico e, accorgendosi di essere privo di pane per sfamare un altro amico o un parente, giunto da lui sulla fine della seconda vigilia, va ad esso dicendo: “Amico, prestami tre pani perché m’è venuto un ospite e non ho che dargli da mangiare”, può mai sentirsi rispondere dal di dentro della casa: “Non mi dare noia perché ho già chiuso l’uscio e assicurati i battenti e i miei figli dormono già al mio fianco. Non posso alzarmi e darti quanto vuoi”? No. Se egli si è rivolto ad un vero amico e se insiste, avrà ciò che chiede. L’avrebbe anche se colui a cui si è rivolto fosse un amico poco buono. Lo avrebbe per la sua insistenza, perché il richiesto di tal favore, pur di non essere più importunato, si affretterà a dargliene quanti ne vuole. Ma voi, pregando il Padre, non vi rivolgete ad un amico della Terra, ma vi rivolgete all’Amico perfetto che è il Padre del Cielo. Perciò Io vi dico: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto”. Infatti a chi chiede viene dato, chi cerca finisce col trovare, e a chi bussa si apre la porta.
Chi fra i figli degli uomini si vede porre in mano un sasso se chiede al proprio padre un pane? E chi si vede dare un serpente al posto di un pesce arrostito? Delinquente sarebbe quel padre se così facesse alla propria prole. Già l’ho detto[75] e lo ripeto per persuadervi a sensi di bontà e di fiducia. Come dunque uno di sana mente non darebbe uno scorpione al posto di un uovo, con quale maggiore bontà non vi darà Dio ciò che chiedete! Poiché Egli è buono, mentre voi, più o meno, malvagi siete. Chiedete dunque con amore umile e figliale il vostro pane al Padre.
“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
Vi sono i debiti materiali e quelli spirituali. Vi sono anche i debiti morali. È debito materiale la moneta o la merce che avuta in prestito va restituita. È debito morale la stima carpita e non resa e l’amore voluto e non dato. È debito spirituale l’ubbidienza a Dio dal quale molto si esigerebbe salvo dare ben poco, e l’amore verso di Lui. Egli ci ama e va amato, così come va amata una madre, una moglie, un figlio da cui si esigono tante cose. L’egoista vuole avere e non dà. Ma l’egoista è agli antipodi del Cielo. Abbiamo debiti con tutti. Da Dio al parente, da questo all’amico, dall’amico al prossimo, dal prossimo al servo e allo schiavo, essendo tutti esseri come noi. Guai a chi non perdona! Non sarà perdonato. Dio non può, per giustizia, condonare il debito dell’uomo a Lui Ss. se l’uomo non perdona al suo simile.
“Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno”.
L’uomo che non ha sentito il bisogno di spartire con noi la cena di Pasqua mi ha chiesto, or è men di un anno: “Come? Tu hai chiesto di non essere tentato e di essere aiutato, nella tentazione, contro la stessa?”. Eravamo noi due soli… e ho risposto[76]. Eravamo poi in quattro, in una solitaria plaga, ed ho risposto ancora. Ma non è ancora servito, perché in uno spirito tetragono occorre fare breccia demolendo la mala fortezza della sua caparbietà. E perciò lo dirò ancora una, dieci, cento volte, fino a che tutto sarà compiuto.
Ma voi, non corazzati di infelici dottrine e di ancora più infelici passioni, vogliate pregare così. Pregate con umiltà perché Dio impedisca le tentazioni. Oh! l’umiltà! Conoscersi per quello che si è! Senza avvilirsi, ma conoscersi. Dire: “Potrei cedere anche se non mi sembra poterlo fare, perché io sono un giudice imperfetto di me stesso. Perciò, Padre mio, dàmmi, possibilmente, libertà dalle tentazioni col tenermi tanto vicino a Te da non permettere al Maligno di nuocermi”. Perché, ricordatelo, non è Dio che tenta al Male, ma è il Male che tenta. Pregate il Padre perché sorregga la vostra debolezza al punto che essa non possa essere indotta in tentazione dal Maligno. Per leggere l'intero capitolo clicca qui: www.valtortamaria.com
Terzo discorso della Montagna: i consigli evangelici che perfezionano la Legge.
Io non muto un iota della Legge. E chi l’ha data fra i fulmini del Sinai? L’Altissimo. Chi è l’Altissimo? Il Dio uno e trino. Da dove l’ha tratta? Dal suo Pensiero. Come l’ha data? Con la sua Parola. Perché l’ha data? Per il suo Amore. Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all’Amore, parlò per il Pensiero e per l’Amore.
Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio. Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e innondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina. …
Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d’errore. Essi vengono a voi in veste d’agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.
L’uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un’altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l’uomo è ladro e fornicatore? … Io non vi dico: “Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli”. Anzi vi dico: “Lasciatene a Dio il compito”. Ma vi dico: “Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi”. Per leggere l'intero capitolo clicca qui: www.valtortamaria.com
Martedì santo. Lezioni dal fico seccato. I quesiti sul tributo a Cesare e sulla risurrezione.
Entrano nel Tempio. I soldati dell’Antonia li osservano passare. Vanno ad adorare il Signore, poi tornano nel cortile dove i rabbi insegnano. Subito verso Gesù, prima ancora che la gente accorra e si affolli intorno a Lui, si avvicinano dei saforim, dei dottori d’Israele e degli erodiani, e con bugiardo ossequio, dopo averlo salutato, gli dicono: «Maestro, noi sappiamo che Tu sei sapiente e veritiero, e insegni la via di Dio senza tener conto di cosa o persona alcuna, fuorché della verità e giustizia, e poco ti curi del giudizio degli altri su Te, ma soltanto di condurre gli uomini al Bene. Dicci allora: è lecito pagare il tributo a Cesare, oppure non è lecito farlo? Che te ne pare?». Gesù li guarda con uno di quei suoi sguardi di una penetrante e solenne perspicacia, e risponde: «Perché mi tentate ipocritamente? Eppure alcuno fra voi sa che Io non vengo ingannato con ipocriti onori! Ma mostratemi una moneta, di quelle usate per il tributo».
Gli mostrano una moneta. La osserva nel retto e nel verso e, tenendola appoggiata sul palmo della sinistra, vi batte sopra l’indice della destra dicendo: «Di chi è quest’immagine e che dice questa scrittura?». «Di Cesare è l’immagine, e l’iscrizione porta il suo nome. Il nome di Caio Tiberio Cesare, che è ora imperatore di Roma». «E allora rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio date quel che è di Dio», e volge loro le spalle dopo aver reso il denaro a chi glielo aveva dato.
Ascolta questo e quello dei molti pellegrini che lo interrogano, conforta, assolve, guarisce. Passano le ore. Esce dal Tempio per andare forse fuori porta, a prendere il cibo che gli portano i servi di Lazzaro incaricati a questo. Rientra nel Tempio che è pomeriggio. Instancabile. Grazia e sapienza fluiscono dalle sue mani posate sugli infermi, dalle sue labbra in singoli consigli dati ai molti che lo avvicinano. Sembra che voglia tutti consolare, tutti guarire, prima di non poterlo più fare. È già quasi il tramonto e gli apostoli, stanchi, stanno seduti per terra sotto il portico, sbalorditi da quel continuo rimuoversi di folla che sono i cortili del Tempio nell’imminenza pasquale, quando all’Instancabile si avvicinano dei ricchi, certo ricchi a giudicare dalle vesti pompose. Matteo, che sonnecchia con un occhio solo, si alza scuotendo gli altri. Dice: «Vanno dal Maestro dei sadducei. Non lasciamolo solo, che non lo offendano o cerchino di nuocergli e di schernirlo ancora». Si alzano tutti raggiungendo il Maestro, che circondano subito. Credo intuire che ci sono state rappresaglie nell’andare o tornare al Tempio a sesta… Per leggere l'intero capitolo clicca qui: www.valtortamaria.com
Assunzione gloriosa di Maria Ss.
Ad un tratto una gran luce empie la stanza, una luce argentea, sfumata d’azzurro, quasi fosforica, e sempre più cresce, annullando quella dell’alba e quella della lucerna. Una luce uguale a quella che innondò la grotta di Betlemme al momento della Natività divina. Poi, in questa luce paradisiaca, si palesano delle creature angeliche, luce ancor più splendida nella luce già tanto potente apparsa per prima. Come già avvenne quando gli angeli apparvero ai pastori, una danza di scintille d’ogni colore si sprigiona dalle loro ali dolcemente mosse, dalle quali viene come un mormorio armonico, arpeggiato, dolcissimo.
Le creature angeliche si dispongono a corona intorno al lettuccio, si curvano su di esso, sollevano il corpo immobile e, con un più forte agitar d’ali, che aumenta il suono già esistente prima, per un varco apertosi prodigiosamente nel tetto, come prodigiosamente s’aprì il Sepolcro di Gesù, se ne vanno, portando seco loro il corpo della loro Regina, santissimo, è vero, ma non ancora glorificato e perciò ancora soggetto alle leggi della materia, soggezione a cui non era più soggetto il Cristo perché già glorificato quando risorse da morte. Il suono dato dalle ali angeliche aumenta, ed è ora potente come un suono d’organo.
Giovanni, che s’era già, pur rimanendo addormentato, smosso due o tre volte sul suo sgabello, come fosse disturbato dalla gran luce e dal suono delle ali angeliche, si desta totalmente per quel suono potente e per una forte corrente d’aria che, scendendo dal tetto scoperchiato ed uscendo dalla porta aperta, forma come un gorgo che agita le coperture del letto ormai vuoto e le vesti di Giovanni, spegnendo la lucerna e chiudendo con un forte picchio la porta aperta. L’apostolo si guarda intorno, ancor mezzo assonnato, per rendersi conto di ciò che avviene. Si accorge che il letto è vuoto e che il tetto è scoperto. Intuisce che un prodigio è avvenuto. Corre fuori sulla terrazza e, come per un istinto spirituale o per un richiamo celeste, alza il capo, facendosi solecchio con la mano per guardare senza avere l’ostacolo del nascente sole negli occhi. E vede. Vede il corpo di Maria, ancor privo di vita ed in tutto uguale a quello di persona dormente, che sale sempre più in alto, sostenuto dallo stuolo angelico.… Per leggere l'intero capitolo clicca qui: www.valtortamaria.com
La discesa dello Spirito Santo
E poi ecco la Luce, il Fuoco, lo Spirito Santo, entrare, con un ultimo fragore melodico, in forma di globo lucentissimo, ardentissimo, nella stanza chiusa, senza che porta o finestra sia mossa, e rimanere librato per un attimo sul capo di Maria, a un tre palmi dalla sua testa, che ora è scoperta, perché Maria, vedendo il Fuoco Paraclito, ha alzato le braccia come per invocarlo e gettato indietro il capo con un grido di gioia, con un sorriso d’amore senza confini. E dopo quell’attimo in cui tutto il Fuoco dello Spirito Santo, tutto l’Amore è raccolto sulla sua Sposa, il Globo Ss. si scinde in tredici fiamme canore e lucentissime, di una luce che nessun paragone terreno può descrivere, e scende a baciare la fronte di ogni apostolo. Ma la fiamma che scende su Maria non è una lingua di fiamma dritta sulla fronte che bacia, ma è una corona che abbraccia e cinge come un serto il capo verginale, incoronando Regina la Figlia, la Madre, la Sposa di Dio, l’incorruttibile Vergine, la Tutta Bella, l’eterna Amata e l’eterna Fanciulla che nulla cosa può avvilire e in nulla, Colei che il dolore aveva invecchiata ma che è risorta nella gioia della Risurrezione, avendo in comune col Figlio un accentuarsi di bellezza e di freschezza di carni, di sguardi, di vitalità… avendone già un anticipo della bellezza del suo glorioso Corpo assunto al Cielo ad essere il fiore del Paradiso.
Lo Spirito Santo rutila le sue fiamme intorno al capo dell’Amata. Quali parole le dirà? Mistero! Il viso benedetto è trasfigurato di gioia soprannaturale e ride del sorriso dei Serafini, mentre delle lacrime beate sembrano diamanti giù per le gote della Benedetta, percosse come sono dalla luce dello Spirito Santo.
Il Fuoco rimane così per qualche tempo… E poi dilegua… Della sua discesa resta a ricordo una fragranza che nessun terrestre fiore può sprigionare… Il profumo del Paradiso… Per leggere l'intero capitolo clicca qui: www.valtortamaria.com
La Risurrezione
Il «Voglio» del divino Spirito alla sua fredda Carne non ha suono. Esso è detto dall’Essenza alla Materia immobile. Ma nessuna parola viene percepita da orecchio umano. La Carne riceve il comando e ubbidisce ad esso con un fondo respiro… Null’altro per qualche minuto. Sotto il sudario e la sindone la Carne gloriosa si ricompone in bellezza eterna, si desta dal sonno di morte, ritorna dal «niente» in cui era, vive dopo essere stata morta. Certo il cuore si desta e dà il primo battito, spinge nelle vene il gelato sangue superstite e subito ne crea la totale misura nelle arterie svuotate, nei polmoni immobili, nel cervello oscurato, e riporta calore, sanità, forza, pensiero. Un altro attimo, ed ecco un moto repentino sotto la sindone pesante. Così repentino che, dall’attimo in cui Egli certo muove le mani incrociate al momento in cui appare in piedi imponente, splendidissimo nella sua veste di immateriale materia, soprannaturalmente bello e maestoso, con una gravità che lo muta e lo eleva pur lasciandolo Lui, l’occhio fa appena in tempo ad afferrarne i trapassi. Ed ora lo ammira: così diverso da quanto la mente ricorda, ravviato, senza ferite né sangue, ma solo sfolgorante della luce che scaturisce a fiotti dalle cinque piaghe e si emana da ogni poro della sua epidermide.
Quando muove il primo passo — e nel moto i raggi scaturenti dalle Mani e dai Piedi lo aureolano di lame di luce: dal Capo innimbato di un serto, che è fatto dalle innumeri piccole ferite della corona che non dànno più sangue ma solo fulgore, all’orlo dell’abito quando, aprendo le braccia che ha incrociate sul petto, scopre la zona di luminosità vivissima che trapela dalla veste accendendola di un sole all’altezza del Cuore — allora realmente è la «Luce» che ha preso corpo. Non la povera luce della Terra, non la povera luce degli astri, non la povera luce del sole. Ma la Luce di Dio: tutto il fulgore paradisiaco che si aduna in un solo Essere e gli dona i suoi azzurri inconcepibili per pupille, i suoi fuochi d’oro per capelli, i suoi candori angelici per veste e colorito, e tutto quello che è, di non descrivibile con parola umana, il sopraeminente ardore della Ss. Trinità, che annulla con la sua potenza ardente ogni fuoco del Paradiso, assorbendolo in Sé per generarlo nuovamente ad ogni attimo del Tempo eterno, Cuore del Cielo che attira e diffonde il suo sangue, le non numerabili stille del suo sangue incorporeo: i beati, gli angeli, tutto quanto è il Paradiso: l’amore di Dio, l’amore a Dio, tutto questo è la Luce che è, che forma il Cristo Risorto. Per leggere l'intero capitolo clicca qui: www.valtortamaria.com